Normative
Il contesto normativo di riferimento internazionale, europeo e nazionale
Il quadro normativo internazionale, europeo e nazionale converge, ormai, sulla necessità di far transitare l’economia dal concetto quantitativo di crescita a quello qualitativo di sviluppo sostenibile, nel senso di efficiente, duraturo ed equo. Per garantire uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri, è necessario che il principio economico di utilità sia interconnesso alla dimensione ambientale (l’equilibrio con gli ecosistemi) e a quella sociale (equità).
Nel 2015 sono stati sottoscritti a livello internazionale vari accordi fondamentali che hanno indicato le linee guida per le successive strategie nazionali: dall’Agenda 2030 contro la povertà e i relativi Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), adottati in occasione della 70ª Assemblea generale delle Nazioni Unite, all’accordo di Parigi sul clima (COP21), al programma d’azione di Addis Abeba, che individua l’integrazione a livello nazionale dei piani di finanziamento destinati al conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, quale parte integrante dell’Agenda 2030. Anche l’ILO, l’agenza ONU per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, nell’ultimo rapporto 2018 sostiene che l’adozione di politiche di promozione di un’economia più verde potrebbe creare oltre 20 milioni di posti di lavoro nel mondo entro il 2030.
Lo sviluppo sostenibile è diventato formalmente uno degli obiettivi a lungo termine dell’Unione europea (art. 3, paragrafo 3, del trattato sull’Unione europea): dal 2010 lo sviluppo sostenibile è stato integrato nella “Strategia Europa 2020”, incentrata sull’istruzione e sull’innovazione (“intelligente”), su basse emissioni di carbonio, sulla resistenza ai cambiamenti climatici e sull’impatto ambientale (“sostenibile”), nonché sulla creazione di posti di lavoro e sulla riduzione della povertà (“inclusiva”). I fondi strutturali e di investimento europei funzionano in stretta relazione con i finanziamenti della Banca europea per gli investimenti per promuovere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Le aree urbane sono il motore dell’economia europea e fungono da catalizzatori di soluzioni sostenibili innovative a favore della transizione verso una società resiliente a basse emissioni di carbonio: le città e le amministrazioni, pertanto, svolgono un ruolo particolare nell’attuazione delle varie Agende urbane sia a livello globale che locale.
Il 25 ottobre 2011 la Commissione Europea ha pubblicato la Comunicazione “A renewed EU strategy 2011-14 for Corporate Social Responsibility” (COM 2011/681), che delinea la nuova strategia dell’UE sulla responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società. Le imprese, su base volontaria e attraverso una certa flessibilità nell’adattare innovazione e regolamentazione complementare alla propria realtà specifica, sono chiamate ad avviare un processo di integrazione nei piani strategici aziendali dei temi sociali, ambientali, etici, dei diritti umani e della sicurezza dei consumatori, con l’obiettivo di massimizzare la creazione di valore condiviso per proprietà e stakeholders e anche per prevenire e mitigare i possibili impatti negativi. Il documento richiama il global frame work della CSR, costituito da un set di principi e linee guida riconosciuti internazionalmente: OECD Guidelines for Multinational Enterprises, United Nations Global Compact, United Nations Guiding Principles on Business and Human Rights, ILO Tri-partite Declaration of Principles Concerning Enterprises and Social Policy, ISO 26000 Guidance Standard on Social Responsibility. Fondamentale è il ruolo di investitori e consumatori che possono premiare con le loro scelte le imprese socialmente responsabili.
Promuovere su scala globale la cultura della responsabilità sociale d’impresa è l’obiettivo del Global Compact, un’iniziativa volontaria lanciata nel 1999, in occasione del World Economic Forum di Davos, dall’allora Segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, il quale invitò i leader dell’economia mondiale a stringere un Patto Globale per supportare i nove principi universali (diventati dieci nel 2004) nell’ambito dei diritti umani, del lavoro, della tutela dell’ambiente e della lotta alla corruzione e per implementare gli Obiettivi delle Nazioni Unite (attualmente gli SDGs). Il Global Compact delle Nazioni Unite è, dunque, l’iniziativa di sostenibilità d’impresa più ampia al mondo che vede collaborare governi, imprese, agenzie delle Nazioni Unite, organizzazioni sindacali e della società civile per un’”economia globale più inclusiva e sostenibile”, diventando progressivamente un vero e proprio forum globale chiamato ad affrontare gli aspetti più critici della globalizzazione e ad essere il catalizzatore per i futuri cambiamenti che conducano il settore privato verso il raggiungimento degli SDGs entro il 2030. In Italia, il network (Global Compact Network Italia) si costituisce nel 2002 con lo scopo di contribuire allo sviluppo del “Patto Globale” a livello nazionale, operando come piattaforma di informazione e garantendo supporto e coordinamento alle aziende e alle organizzazioni italiane che decidono di condividere ed applicare un’agenda comune per il raggiungimento della pace e della prosperità a livello mondiale, a partire dagli Obiettivi delle Nazioni Unite di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e dall’Accordo sul Clima di Parigi. Nel 2013, il GCNI si è costituito nella Fondazione Global Compact Network Italia.
L’Unione Europea ha lanciato nel 2012 la Strategia sulla Bioeconomia per promuovere la produzione di risorse biologiche rinnovabili e la loro conversione in prodotti vitali e bioenergia. Uno degli obiettivi è quello di sostituire l’uso delle fonti fossili con alternative naturali: un esempio è l’uso di plastiche basate su polimeri di origine naturale. A dicembre 2015 la Commissione Europea ha adottato il Piano d’azione per l’economia circolare, un pacchetto di misure per aiutare le imprese e i consumatori europei a effettuare la transizione verso un’economia più circolare: attraverso un maggior ricorso al riciclaggio e al riutilizzo, le azioni proposte costituiscono “l’anello mancante” nel ciclo di vita dei prodotti, a beneficio sia dell’ambiente che dell’economia. L’economia circolare riguarda l’intero ciclo di vita del prodotto e si richiama ai processi “dalla culla alla culla” che minimizzano l’impatto dei prodotti anche dopo il loro utilizzo fino a prevederne, già in fase di progettazione, il riutilizzo degli scarti o delle materie prime secondarie. Secondo l’UE, l ‘economia circolare – che con la sharing economy e la riduzione del “consumerism” porta ad una riduzione della domanda e al decoupling completo tra crescita economica e utilizzo delle risorse – ha in realtà le potenzialità per creare numerosi posti di lavoro in Europa, preservando nel contempo risorse preziose e sempre più scarse, riducendo l’impatto ambientale legato al loro impiego e iniettando nuovo valore nei materiali di scarto. Tra le azioni chiave previste, possiamo menzionare: -azioni per ridurre i rifiuti alimentari; -misure nel piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile per promuovere la riparabilità, longevità e riciclabilità dei prodotti, oltre che l’efficienza energetica; – una strategia per le materie plastiche, che affronta questioni legate a riciclabilità, biodegradabilità, presenza di sostanze pericolose nelle materie plastiche; – nuove proposte legislative sui rifiuti per la loro gestione e riciclaggio; – incentivi economici affinché i produttori facciano giungere prodotti più ecologici sul mercato e un sostegno ai sistemi di recupero e riciclaggio (es. per imballaggi, batterie, apparecchiature elettriche ed elettroniche, veicoli).
In ambito nazionale, tra le più recenti azioni a livello normativo ricordiamo il Collegato Ambientale (legge 28 dicembre 2015, n.221) contenente “disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di Green Economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”. Agisce con ampio raggio su tutto ciò che riguarda la tutela della natura e lo sviluppo sostenibile (valutazioni ambientali, energia, acquisti verdi, gestione dei rifiuti e bonifiche, difesa del suolo e risorse idriche, mobilità sostenibile). L’articolo 3 contiene disposizioni finalizzate a garantire l’aggiornamento da parte del Governo, con cadenza almeno triennale, della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SnSVS). Quest’ultima, approvata dal CIPE nel 2017, declina a livello nazionale i principi e gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e rappresenta, dunque, il quadro strategico di riferimento delle politiche settoriali e territoriali in Italia per lo sviluppo fondato sulla sostenibilità, integrandone le tre dimensioni (ambiente, società ed economia) e in linea con i 4 principi guida (integrazione, universalità, trasformazione e inclusione). Nella direttiva del Consiglio dei Ministri del 2018 si stabiliscono gli elementi distintivi della nuova Strategia, tra cui l’impegno a declinare gli obiettivi strategici nell’ambito della programmazione economica, sociale ed ambientale del Paese e il passaggio da un sistema di indicatori incentrato sulla contabilità ambientale ad un set rappresentativo di indicatori da armonizzare con quelli di “Benessere equo e sostenibile” (BES) dell’Istat. Dal punto di vista statistico, infatti, va sottolineato che sempre di più l’attenzione si rivolge alla formulazione di metodi e tecniche di contabilità nazionale, da affiancare al PIL, che tengano conto anche dei costi ambientali e sociali nella misurazione del benessere delle persone e della distribuzione dei benefici dello sviluppo. A livello europeo, l’Agenda 2030 ha stimolato il lancio di diverse iniziative. La Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) ha elaborato una road map per lo sviluppo delle statistiche per gli SDGs a livello europeo, puntando sul ruolo di coordinamento degli Istituti nazionali di statistica. In Italia l’Istat, insieme ai rappresentanti delle parti sociali e della società civile, ha sviluppato un approccio multidimensionale per misurare il Bes con l’obiettivo di integrare le informazioni fornite dagli indicatori sulle attività economiche con le fondamentali dimensioni del benessere, corredate da misure relative alle diseguaglianze e alla sostenibilità. Nel 2016 il Bes (12 indicatori) è entrato a far parte del processo di programmazione economica. Tra le varie proposte di “policy” per la Green Economy, uno dei cardini è proprio la promozione di strumenti di contabilità non finanziaria per indirizzare le imprese alla valorizzazione del capitale naturale allargando la platea delle imprese che devono fare una rendicontazione non finanziaria ed estenderla anche a Comuni, Regioni e Stato.
Tra il 2019 e il 2020 ha avuto avvio il Green Deal europeo, la strategia o “tabella di marcia” per rendere sostenibile l’economia dell’UE, con piani di azione e investimenti per trasformare le questioni climatiche e le sfide ambientali in opportunità in tutti i settori politici, rendendo la transizione equa e inclusiva per tutti. Il bilancio a lungo termine dell’UE, unito a NextGenerationEU, il maxi programma da 750 miliardi per il rilancio dell’economia europea colpita dalla pandemia Covid-19, prevedono che al centro dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) vi siano strategie per una transizione climatica, green e digitale giusta e socialmente equa.
In merito agli strumenti economico – finanziari a sostegno delle imprese italiane, il Piano Nazionale Transizione 4.0 (ex Industria 4.0) rappresenta un’opportunità concreta per diffondere una nuova cultura imprenditoriale realmente innovativa puntando su digitalizzazione, green ed economia circolare.
Con l’approvazione nel 2022 della direttiva relativa alla comunicazione societaria sulla sostenibilità (CSRD = Corporate Sustainability Reporting Directive), “…le imprese saranno tenute a pubblicare informazioni dettagliate in merito alle questioni di sostenibilità, il che aumenterà la responsabilità di un’impresa…e faciliterà la transizione verso un’economia sostenibile” (Comunicato del Consiglio Europeo, 28/11/22). Le nuove norme si applicheranno in primis a tutte le grandi imprese e a tutte le società quotate in mercati regolamentati e gradualmente, nei prossimi anni, alle PMI. L’auspicio è di portare la rendicontazione finanziaria e quella sulla sostenibilità su un piano di parità: alle esigenze di bilancio sarà necessario affiancare un resoconto puntuale, secondo precisi standard europei, degli impatti sull’ambiente, la tutela dei diritti umani, il rispetto delle diversità e la gestione interna. Cittadini dell’UE e investitori dovranno avere accesso a dati affidabili, trasparenti e comparabili.